Da ragazzo, Robert Johnson frequentava i bordelli per ascoltare i grandi maestri del blues come Son House. Non gli ci volle molto per imbracciare una chitarra, ma le sue performance non erano apprezzate. “Faceva solo del gran casino” raccontava Son House. Due anni dopo, quando House riascoltò Johnson suonare, rimase letteralmente a bocca aperta davanti a tanta maestria. Secondo la leggenda, per diventare così bravo in così poco tempo, aveva stretto un patto con il diavolo a un incrocio di strada. Poco dopo, quando morì per cause misteriose a soli 27 anni, qualcuno disse che il demonio era venuto a chiedere la sua anima come pagamento...
Il blues nasce così: imbevuto fin dall'inizio di magia. Proprio per questo ancora oggi le sue formule, i suoi riti e linguaggi rimangono fascinosi e densi di tensione. "Angeli perduti del Mississippi" decodifica i meccanismi che costruiscono la fantasia della musica del diavolo, e lo fa attraverso una miscellanea di micro-racconti, di frammenti narrativi incastrati come tasselli di un medesimo mosaico. Un affresco tanto affascinante da assumere i contorni di un viaggio che odora di zolfo e distillerie, chitarre e demoni, e che porta progressivamente l'opera in una ballata sulla musica nera. Un libro che non manca di tratteggiare le vite dei principali alfieri del blues - da B.B. King a Bessie Smith, da Buddy Guy a Elmore James - ma che racconta anche il double talk, la lingua "nascosta" con cui i neri parlavano per non farsi comprendere dai bianchi, e l'hoodoo, quell'insieme di credenze popolari e pratiche magiche o propiziatorie legato al mondo africano.